domenica 7 ottobre 2012

Micro Racconti 4







De romanis … virtute

Uno strano incrocio, lo stravolgimento di un mitologico essere. Minotauro al contrario, testa da toro, e corpo umano vestito di nulla tranne pochi grammi di stoffa a finger di coprir pudenda.
LO VOLEVA, voleva esser presa, posseduta, violata, usata ed abusata; voleva sentir quelle braccia stringerla, quelle cosce muscolose trattenerla, quel sesso che non poteva esser menzogna fotterle la gola, soffocarla nel piacere, ansimare sotto i suoi colpi che indovinava possenti e profondi. Al solo pensiero il respiro accelera il corpo reagisce, le mani premono il ventre. Immagina quel sesso scavarla. Si alza di scatto, lo vuole, ora … un uomo in abito scuro si fa largo tra corpi oscenamente allacciati, urla “Renata vieni, andiamo via, la finanza sta arrivando e hanno fatto dei controlli in Regione, è un casino sto festino”.
Fuggi fuggi generale e quella testa di toro, vuota, abbandonata a terra, tra i rifiuti



Labirinti
Lui mi porta spesso in un magnifico labirinto, ha una sola entrata e mille vie d’uscita … all’ingresso mi levo le scarpe e le lascio di fianco alla paura, proprio sotto un albero di ceretezze.
Cammino fra tre tipi di fiore: obbedienza, rispetto e devozione; il mio percorso ne è pieno, ma non ne calpesto mai nessuno.
A volte fra un passo e l’altro inciampo e quando son distesa a terra mi appoggio all’educazione ed all’insegnamento per rialzarmi; sono i miei due pilastri.
Per Lui percorro e ripercorro quei sentieri in ogni modo, per Lui non mi fermo neppure se piango, per Lui il dolore è nulla in confronto alla delusione, per Noi trovo sempre la porta del labirinto successivo.
                                                                        (di Piccola Stella)



TX2012

29 settembre 1929, la temperatura aumentava, gas mefitici colmavano lo spazio, scontrandosi, reagendo tra loro. Caldo, ancor più caldo, catalizzatore di altre reazioni. Improvvisa un’esplosione violenta, culmine di quell’apocalisse che segnava una fine … o un nuovo inizio.

29 settembre 2012, notte limpida, il cielo scuro, come solo il cielo di campagna sa essere. Stelle lo illuminano trasformandolo in merletto dal fine ricamo, puntini luminosi che paiono pulsare di vita propria; improvvisa appare, vivida, brillante, quasi a sgomitare tra le tante a mettersi in mostra, a pretender un posto d’onore, lei la più brillante, la più vivida, la più bella. La sua luce ha viaggiato nel nulla più di ottant’anni per mostrarsi a noi. Sorrido guardandola, benvenuta nuova stella, ti chiameranno TX2012 ma qualche poeta saprà darti il nome che meriti.




Capitan giorni

Capitan giorni in cui quel non so che ti stringe lo stomaco e non sai scacciarlo.
Capitan giorni in cui la testa non sa concentrarsi e vaga su prati di pensieri indefiniti, come su campo di grano mosso dal vento che non ti fa coglier forme statiche, ma in mutamento continuo.
Capitan giorni in cui l’unica frase che ti viene in mente è “macchecazzo…vaffanculo”!
Capitan giorni in cui davanti ad un foglio bianco vorresti scriver parole allegre, ironiche, spiritose, sentirti un Cyrano abile nel declamar versi e ritrovarti un Valvert che a malapena balbetta un “vous avez un nez … un nez … très grand”. O peggio un Cyrano che “ nelle mani soltanto stelle rotte-l’ombra perduta tra i rami che non potevi mai vedere-mentre quell’altro saliva-e ti faceva l’amore”.
Ci son giorni così … “à la fin de l’envoi, je touche”.

(Con indegne citazioni di Edmond Rostand e Roberto Vecchioni)



Lucille

Sfiorava con le dita ormai vecchie quelle curve amate,
la accarezzava come solo l’amore sa far accarezzare.
Chino su lei sussurrava parole mentre le dita si muovevano abili a strappar fremiti; eran solo loro, che importava se chiusi dentro una stanza o in mezzo a milioni di persone, eran loro nel loro mondo che estraniava tutto il resto.
Sapeva che sarebbe venuto il giorno in cui le sue mani non sarebbero state più capaci di sfiorarla, accarezzarla, pizzicarla, sapeva che un giorno i suoi occhi si sarebbero chiusi per sempre e lei sarebbe rimasta sola e questo gli spezzava il cuore.
Non sopportava che altre mani la sfiorassero, che altre dita la facessero vibrare.
Era sua, non per possesso ma per amore.
Lei, la sua “Lucille”, per tutti una “banale chitarra Gibson semi acustica”, per lui, The King, la sua Regina.



Parallele

Volteggia abile il ginnasta sulle parallele, muscoli scattanti, gesti perfetti, calcolati, in una coreografia di volteggi.
Corre il treno su quei binari paralleli che s’inseguono all’infinito mentre volti anonimi guardan dal finestrino, distratti, persi nei loro pensieri; tristi allontanandosi da ciò che amano o con un sorriso che non sanno cancellare perché tra poco occhi amati incontreranno occhi amati.
Capita che sian vite a correr parallele, vicine, tanto vicine da sfiorarsi, da far dire “ecco, ora si toccano, si incontrano, si uniscono”; viste da lontano son una, ma dentro c’è a volte tristezza, dolore, gelosia.
Ma capita, può capitare che quel parallelismo perfetto si incrini, si spezzi, deragli e quelle vite si incontrino, si uniscano.
Viste da fuori rompono quella perfetta geometria.
Ma per loro è L’ordine dal caos

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