martedì 25 marzo 2014

Perchè?







Ha imparato le mille posizioni tra cosce di donne compiacenti,
il piacere dentro bocche di ragazze affamate di vita;
affondato il viso su ventri umidi che sapevano di voglia e piacere, strappato gemiti in punta di dita e riso sguaiatamente, con la mente persa tra vino e droghe, di chi parlava d'amore, urlando che era solo sesso, voglia, odore di sudore e sapori di umori sulla pelle;
rotolando a terra con chi, come lui, cercava solo qualche ora di piacere e abbandono, spalancando le cosce e facendosi fottere per sentirsi grande, importante, o forse solo viva.
Ha insegnato a Donne innamorate, sentendo il loro respiro mancare quando le labbra sfioravano il collo, vedendo bocche spalancarsi in parole che credevano di non saper dire, osando ciò che non credevano possibile, sentendo corpi abbandonarsi tra le sue braccia, caldi, sfiniti, e stelle che brillavano negli occhi felici.
Ha mentito sapendo di mentire, per comodità, per noncuranza, per tornaconto.
Ha gridato la verità e spesso non è stato creduto.
Si è sentito fiero e felice di quel vivere sopra le righe, con lo sguardo di chi sa fottere il mondo e ne gode, sempre altro, sempre oltre.
Ma allora perchè ora quel vuoto, quel senso di buco nel petto?
Perchè chiude gli occhi quasi a celare qualcosa?
Perchè si chiede?
Perchè chiede?
Perchè chiedo?

mercoledì 5 marzo 2014

Michela! Pallida... Timida...







Ti rivedo dopo anni, la ragazzina pestifera che si divertiva a fare da terzo incomodo quando io e tua sorella maggiore… cercavamo un po’ di intimità; ti presentavi sfacciatamente e provocatoriamente in abbigliamenti succinti quando passavo a prenderla,
in un gioco provocante...
Consci entrambi che sarebbe rimasto un gioco.
Ti rivedo inaspettatamente, quasi urtandoti sul marciapiede affollato; i lunghi capelli biondi, scomposti nei mille riccioli che da sempre ti incorniciano il volto; il viso pallido, la carnagione quasi diafana che è sempre stata una tua caratteristica.
I tuoi occhi azzurri nei miei, un lampo riconoscendomi, un sorriso, offuscato dopo un attimo da ciò che della vita ti ha segnato.
Ti sorrido, avvicinandomi ed abbracciandoti, un bar ci accoglie con la sua atmosfera chiassosa, lasciando che i nostri discorsi scorrano su fiumi di parole di sconosciuti.
Poi un saluto e un arrivederci che stranamente lascia in entrambi un senso di vuoto.
Giorni scorrono, scolorando la tua immagine, pur rimanendo un piacevole sfondo nei miei pensieri.
Fino... ad serata di inizio settembre, pioggia battente, il lago scuro e nero, che mette tristezza e paura a chi non lo conosce e non lo ama.
Una curva sulla strada velata di pioggia e dietro la curva i fari illuminano... te, zuppa di pioggia accanto all’auto improvvisamente ammutolita, lo sguardo furioso e smarrito nel contempo, mandando accidenti al mondo intero.
Mi fermo dietro la tua 2Cv, scendo incurante della pioggia furiosa, mi riconosci con un sorriso, poche parole e carichiamo sulla mia auto le provviste che hai appena acquistato.
Siedi accanto a me, i capelli grondanti, gli abiti incollati al corpo, disegnandone sfacciatamente le forme; senti il mio sguardo su te, mentre accendo l’auto, un improvviso rossore sul viso quando vedi i miei occhi insistere sul tuo seno, appena velato dalla camicetta fradicia.
Il seno piccolo, ben formato, con capezzoli che svettano impunemente attraverso il tessuto.
Vorresti trovare una battuta spiritosa, qualche parola per allentare la tensione, ma le parole non si formano nella mente, assurdamente immagini ben diverse si affacciano alla tua coscienza, immagini che aumentano il tuo imbarazzo, quasi io potessi coglierle;
vorresti che parlassi, che dicessi qualcosa, una cosa qualunque, purchè potesse cancellare quelle immagini che sempre più si fanno definite, arrossando ancor più il tuo viso;
invece… solo il silenzio accompagna il mio sguardo sempre più sfacciato.
Lo senti scivolare dal seno, sulle gambe, sulle cosce lasciate parzialmente scoperte dalla gonna bagnata, che, sedendoti, è risalita un poco;
le accavalli nervosamente, subito accorgendoti in una vampata di rossore, che quel gesto, mostrandoti un pò di più, può sembrare un invito spudorato;
cerchi i miei occhi, mentre il respiro si fa corto, mentre ti odi sentendo i capezzoli tendersi sempre più sotto il tessuto bagnato della camicetta, non puoi neppure mentire a te stessa incolpando il freddo e l’umido della pioggia, sai, come io so, che non è così.
Finalmente senti la mia voce, parole banali che, in quel contesto ti fanno sorridere
“Miki, se devo accompagnarti a casa credo sarebbe utile che mi dicessi dove abiti”.
Sorridi, grata a quel suono che ti ruba ad emozioni inaspettate
Rispondi a voce bassa, “credevo che lo sapessi, scusami, abito nella villetta che avevamo anni fa, ricordi? Allora era la seconda casa di famiglia, la villetta al lago, ora…ci vivo”.
Buffo tutto ciò, in fondo vivi a pochi chilometri da me e…….
La strada lucida di pioggia corre veloce,
un cancello,
frughi nella borsetta,
il telecomando,
apri, entriamo.
Ridendo lasciamo che la pioggia continui ad inzupparci mentre portiamo in casa sacchetti colmi.
Quella casa che mi riporta indietro di anni
Ma ora non c’è tua sorella nella mia mente, non per lei sono li, ora quella casa è la tua e tu, davanti a me, ridi, grondante di pioggia.
Scherziamo su questo, ma i miei occhi non evitano di seguire le curve del tuo corpo modellate dagli abiti fradici, non distolgo lo sguardo all’arrossarsi del tuo viso, non cerco di evitarti l’imbarazzo per ciò che senti, e traspare, e... sai bene che non può sfuggirmi.
Il mio sguardo si fa più serio, mentre mi avvicino a te, mentre scosto dal tuo viso una ciocca bagnata,
rabbrividisci,
non è il freddo Michela,
le mie dita, sogni di ragazzina invidiosa,
le mie dita, che hai mille volte immaginato su te,
le mie dita che si fondevano con le tue mentre, sola, accarezzavi il tuo corpo, lasciando che la mia immagine colmasse la tua mente, dita che esploravano ed imparavano il tuo corpo, dita che scoprivano ed imparavano come darti piacere.
Trattieni il respiro, ora non sono immagini della tua mente, ora sono le mie dita che, non più per allontanare ciocche ribelli, sfiorano il tuo viso, ne seguono il profilo, scendono sul collo, mentre chini il capo, chiudi gli occhi, racchiudendo in te queste sensazioni così a lungo sognate.
Si Michela, ora sono le mie mani che conoscono la tua gola, sentendoti deglutire a vuoto sotto i miei polpastrelli, le mie dita che, impudiche, scendono su quella camicetta zuppa, ormai velo impalpabile tra me e la tua pelle, sfiorando il tuo seno, stringendolo piano, disegnando le areole che traspaiono,
ignorando sfrontatamente i capezzoli, turgidi come non mai, che urlano il loro richiamo.
Le mie dita Michela, che tornano sul tuo viso, sulle tue labbra, sfiorate dal sospiro ansioso dei tuoi gemiti trattenuti
Le mie dita Michela, che dolcemente sollevano il tuo viso, non i tuoi occhi che ancora restano chiusi, per... pudore? timori? Vergogna di mostrare ciò che provi?
Ma, nel buio dei tuoi occhi chiusi, senti il mio volto avvicinarsi al tuo, le mie labbra vicine alle tue, senza ancora sfiorarle, eppure le sai li, e… la tua bocca si schiude, il tuo respiro si fa mio, il tuo sapore ed il mio si fondono in un lungo bacio, in cui ti doni a me, lasci che la mia lingua frughi la tua bocca, quasi a frugarti l’anima, stretta contro me.
Le mie mani Michela, che scivolano sul tuo corpo, lenta sfinente carezza, le nostre gambe che si intrecciano, il tuo ventre che preme contro la mia coscia, un lungo gemito, che ora non trattieni più, rovesciando il capo.
Le mie mani Michela, che scivolano sotto la tua gonna, accarezzando la pelle umida di pioggia, salendo lentamente mentre i tuoi muscoli si contraggono, trovano le tue natiche, coperte da un impalpabile perizoma, ci giocano, tirandolo, muovendolo su te, facendo ondeggiare il tuo corpo per inseguirmi.
Le mie dita Michela, che ora vorresti ti aprissero sfrontatamente le gambe, frugandoti indecentemente per bagnarsi in te, di te. Socchiudi gli occhi, cerchi i miei, mi parli con il tuo sguardo carico di desiderio, quasi implorando il piacere.
Le mie dita Michela, che si allontanano da te; un passo indietro guardandoti, mentre mille dubbi ti assalgono; vergogna ed imbarazzo per esserti offerta, timore di giudizi impietosi.
Le mie dita Michela, che lentamente slacciano la tua camicetta, la senti scivolare, umida, sulla pelle, mostrandoti.
Le mie dita Michela, sulla tua gonna, abbassandola, facendola cadere a terra portando con se timori e paure, riaccendendo improvviso il desiderio.
Nuove emozioni nel sentirti accarezzata dal mio sguardo, dal collo ai seni, ai capezzoli tesi e turgidi, dai piedi, assurdamente ancora stretti nelle scarpe da ginnastica a quel triangolino di stoffa rosa tra le tue gambe che sembra sussultare inseguendo i tuoi pensieri impudicamente perversi.
Resti immobile davanti a me, lasciandoti accarezzare dal mio sguardo, lentamente, sentendolo come carezza sfrontata sulla pelle, tra le gambe, quasi aprirti, prenderti.
E lentamente mi avvicino a te, stringendo la tua mano ti guido attraverso la stanza, accanto a quella vetrata che affaccia sulla terrazza, sul lago, sempre più nero, accecato da improvvisi lampi.
La tua schiena appoggiata a quella vetrata Michela, il freddo del vetro sulla pelle, il calore delle mie mani in contrasto violento, mentre ora, con decisione, accarezzo il tuo seno, lo stringo, modulando i miei movimenti con l’accelerare del tuo respiro, lento ora, a tratti più rapido, fermandosi in apnee improvvise, per riprendere più veloce, mentre il tuo corpo sussulta, freme, mentre umido piacere e desiderio scivola tra le tue cosce.
Un gesto deciso, ti volto verso quella vetrata, il viso premuto contro i vetri, verso il nero del lago, incurante che qualcuno ti veda, che scorga il tuo corpo nudo attraverso la diafana parete resa appena opaca dal tuo respiro ansimante.
Le mie mani Michela, che ora strappano con forza quel pezzetto di stoffa tra le tue gambe, ti frugano, imparandoti, sentono il tuo sesso sussultare alle mie carezze, mentre protendi il bacino verso me, cercandomi, implorandomi quasi con il corpo, il silenzio rotto solo da gemiti e parole smozzicate, ormai lontani, noi, insieme, in un mondo nostro.
Sudore che si mescola a sudore, corpi nudi, vicini, stretti, ansimi sempre più rapidi, il tuo viso sconvolto dal desiderio, gli occhi febbricitanti mentre volgi il capo verso me, due brevi parole sfuggono dalle tue labbra, in un sussurro implorante ”….ti prego…..”
Sollevo tra le braccia il tuo corpo, ti stringi a me allacciandomi le gambe alla vita, stretti, insieme, usciamo sulla terrazza, battuta dalla pioggia violenta, scossa da tuoni che riecheggiano nelle nostre menti, illuminata dai bagliori di fulmini, sinistri per alcuni, ma che nel nostro mondo sono estatici lampi che portano al piacere.
Scivoliamo a terra, sulle piastrelle bagnate, allacciati e persi nella passione, i corpi si cercano, si chiamano, urla nel vento disperse tra la pioggia.
Solo noi, nel nostro mondo, non nudo pavimento freddo, non pioggia battente sui nostri corpi, ma assenza di tutto eccetto noi.
Le mie dita frugano il tuo sesso, si bagnano nel tuo desiderio, schiusa a me; il mio sesso ti sfiora, leggero, accarezzando il clitoride, strappandoti sussultanti mugolii, scivola sul tuo sesso e, lentamente entra in te.
Il tuo corpo si arcua, spinge contro me, muta dichiarazione di desiderio troppo sognato, desiderato.
I nostri corpi trovano, d’istinto, simbiosi nel muoversi rubandosi l’un l’altro il piacere, movimenti lenti, prolungati, sfinenti, accelerazioni improvvise, pause…
Ed ancora cercandosi, prendendosi, l’un l’altro, urlandoci sul viso il piacere.
Pioggia sui volti, sui nostri corpi nudi, fusi in uno
Pioggia che lava il sudore, ma accende ancor più il desiderio
Ansimi ora non più soffocati, ma urlati in viso, gli occhi spalancati mostrando l’anima
E improvviso... l’orgasmo urlato, squassante, che fa sussultare i corpi come marionette senza fili, movimenti incontrollati, alla ricerca dell’ultima stilla di piacere, spremuta dalla mente prima che dai corpi.
Per poi abbandonarsi alla piccola morte, all’oblio che annebbia la mente, vuoti, persi, appagati.
Due corpi stretti sotto la pioggia battente
Un sorriso lieve sul mio volto, guardandoti
E piano scosto una ciocca dalla tua fronte, accarezzandoti una guancia; pallida, diafana, ma che risplende in quel giorno di temporale, illuminandoci.

Copyright marzo 2004

sabato 1 marzo 2014

Pelle di slave...








Bianca occhieggiava mostrando l'incavo dei seni, sfacciata e provocante;
morbida quando la mano la sfiorava oltre l'orlo della calza, dov'era più sensibile, risvegliando brividi e il respiro si faceva denso.
Candida davanti agli occhi, gli abiti sparsi a terra, oltre il pudore; combattuta tra timore e desiderio, tra ciò che era e ciò che altri vedevano; mostrandosi, fiera del suo esser schiava.
Rossa quando la mano colpiva natiche spudoratamente offerte, segnando un impronta che era appartenenza, abbandono, umiliante eccitazione.
Di porpora quando corde segnavano, stringendo a toglier l'aria, a disegnare il seno, a premer sul ventre bagnandosi di umori densi; arazzo vivente fatto di corda e pelle, null'altro se non brividi e odore di desiderio, voglia, sudore, bisogno animale.
Splendida poi, vestita di nulla se non di segni di corde e brividi, su quella pelle, per perdersi tra braccia morbide in un sospiro felice.