mercoledì 22 giugno 2011

"Contessa"!







Un vecchio scritto di cui quasi mi ero scordato e all’improvviso ritornato alla mente. Dedicato a tutti coloro che non temono di vivere i propri sogni, senza preoccuparsi di sciocche convenzioni o stupidi tabù. Semplicemente vivendo.



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Entrai nella splendida villa di campagna del Conte Mirko de' V….. ; ero stato piacevolmente sorpreso nel ricevere l'invito alla "festa di primavera", ormai diventata un cult della mondanità.

Da qualche mese avevo in cura il Conte per qualche piccolo disturbo cardiaco e il rapporto tra medico e paziente era sfociato in una spiccata simpatia, non ancora amicizia ma sicuramente stima reciproca.

Scesi dall'auto ed un valletto accorse per posteggiarmela, gli porsi le chiavi e salii lentamente l'ampio scalone che portava all'ingresso.

Notai subito l'affascinante donna che stava ritta in piedi accanto al Conte ed intuii senza fatica che si trattava della moglie che fino ad allora non avevo avuto il piacere di conoscere.

Sono sempre stato molto sensibile al fascino delle donne e ho sempre riscosso un discreto successo, così sfoderai il mio sorriso più seducente e mi avvicinai alla coppia.

Il Conte fece le presentazioni, ma non potei ignorare lo sguardo altezzoso e distaccato che la Contessa Marisa mi rivolse. Il mio amor proprio ne rimase indubbiamente ferito, ma dopo poco mi lasciai coinvolgere dall'atmosfera della festa, scordando questo spiacevole episodio.

La festa era splendida come tutte le feste a casa del Conte, belle donne, eleganti, di classe, che amavano farsi corteggiare, più o meno spudoratamente, e con alcune delle quali il mio corteggiamento era spesso andato a buon fine.

La Contessa Marisa si aggirava tra gli invitati e notai che riservava a tutti quell'aria altezzosa e distaccata che aveva rivolto a me; si, indubbiamente si sentiva una rosa in un campo d'ortiche.

Ed era, è, sicuramente una rosa, alta, lunghi capelli corvini che le incorniciano un volto perfetto, la carnagione candida, retaggio d'antica nobiltà in cui una pelle diafana era sinonimo di prestigio ed alto livello sociale. L'abito non poteva che accentuare la sua bellezza, morbidamente drappeggiato su una spalla scendeva a fasciare il corpo, evidenziando un seno non molto grande, ma ben disegnato e che riempiva l'abito in modo adeguato, lasciando intuire, sotto la stoffa, le piccole perle dei capezzoli. La curva della schiena scendeva sinuosa fino alle natiche marmoree per poi proseguire nel morbido disegno delle cosce.

Non posso negare che dentro di me il mio istinto di Master tornasse frequentemente all'episodio delle presentazioni, il mio orgoglio di maschio, prima ancora che di Master era stato ferito, ed ogni volta che osservavo Marisa ero tentato di tornare alla carica con lei, cercando di mettere in atto tutte le mie arti di seduttore.

Mentre stavo amabilmente chiacchierando in giardino con una delle invitate (una dolce amica con cui frequentemente m'incontravo ed alla quale avevo aperto le porte del mondo SM) vengo urtato bruscamente alle spalle e la coppa di champagne che tenevo tra le mani finisce miseramente sulla giacca del mio smocking.

Mi volto furioso verso la colpevole sibilando a mezza bocca con gli occhi di fuoco"stupida idiota guarda cosa hai fatto"! Solo a quel punto mi rendo conto che la colpevole era Marisa, accenno ad un sorrisetto di circostanza ma vedo qualcosa nel suo volto, qualcosa che non mi sarei aspettato di vedere; non imbarazzo per ciò che era successo, né tanto meno la sua solita aria altezzosa, era rimasta immobile, muta, le labbra semiaperte le guance imporporate da un lieve rossore, gli occhi quasi vitrei, come se avesse ricevuto un violento schiaffo sul viso, quasi fosse preda di uno stato di eccitazione sessuale.

Si, non potevano esserci dubbi, conoscevo quella reazione, la tipica reazione di una slave in attesa di una punizione del suo Padrone. Qualcosa era scattato nella mente di Marisa, qualcosa che neppure lei conosceva, qualcosa di nuovo ed ignoto. Ora sapevo di poter condurre il gioco a modo mio, secondo le mie regole, ora capivo che con quella piccola frase avevo aperto una via che avrebbe potuto portarla ad essere in mio potere, sarei stato io a dettare le regole, le mie regole.

La ignorai ostentatamente, mentre una cameriera premurosa si affrettava a prendere la mia giacca per sistemarla ed il Conte si scusava per l'incidente.

Marisa era ancora immobile, quasi in attesa davanti a me, il mio sguardo passò oltre lei, quasi fosse diventata invisibile, e ripresi a chiacchierare con la mia amica voltandole le spalle.

La festa proseguiva ma l'atteggiamento di Marisa era ora molto diverso. Continuava ad aggirarsi tra gli invitati con aria altezzosa, ma contemporaneamente sembrava ansiosa, inquieta, ed ogni volta che entrava nel mio campo visivo (cosa che… casualmente……. capitava molto spesso) le sue guance si imporporavano, gli occhi si abbassavano e rimaneva immobile, come in attesa, le labbra dischiuse il capo un poco chino, e non si muoveva finché io non mi voltavo distogliendo il mio sguardo da lei; a quel punto e solo allora ritornava ad essere la Contessa Marisa.

Durante il buffet approfittai della mia dolce amica per informarmi su Marisa, non senza suscitare in lei una punta di gelosia che provocò un commento acido "segui il mio consiglio, lasciala perdere, quella ce l'ha di ghiaccio". Scoprii così che Marisa, unica rampolla di una nobile famiglia, era cresciuta circondata da persone compiacenti, camerieri e valletti pronti ad ogni suo desiderio, impazienti di accontentare ogni suo volere per ordine espresso del padre che tentava così di farle scordare la propria assenza come genitore. E' cresciuta straviziata e con la convinzione assoluta che tutto le fosse dovuto, quasi per diritto divino. Ha avuto solo due fidanzati ufficiali prima di conoscere il Conte (di 25 anni più vecchio di lei) e sposarlo; ed al mio commento su i "fidanzati non ufficiali" la mia amica rispose seria che "no, sicuramente non ha avuto altri rapporti o legami" e si disse certa che le sue esperienze sessuali le avesse avute solo con il Conte, dopo il matrimonio. Ed anche questa volta non seppe resistere a commentare con un sorrisetto "insomma un ghiacciolino che avrà fatto tre o quattro scopate in vita sua ed a cui non interessa farne altre, una al mese con il maritino per dovere e nulla più". Non le chiesi dove aveva appreso con tanta precisione le abitudini sessuali della Contessa, ma il mio sorriso, quello che lei conosceva così bene, le fece corrugare la fronte; la lasciai guardandola in modo sibillino e mi avvicinai alla pista da ballo.

Come molte volte quella sera Marisa si materializzò davanti a me, in quell'atteggiamento nuovo per lei, sicuramente si aspettava che, una volta di più, la ignorassi, questa volta invece mi avvicinai a lei, con decisione, fissandola in viso, vedendo il rossore accenderle ancor più le gote, gustandomi quelle sensazioni nuove e sconosciute che passavano nella sua mente e si riflettevano sul suo viso lasciandola confusa, quasi intimorita. Sapevo che si odiava per ciò che le stava accadendo ma non poteva evitarlo.

Mi fermai davanti a lei, vicini, una sola parola, decisa, non una richiesta: "Balliamo".

La vedo deglutire, vedo che un brivido percorre il suo corpo. Le afferro gentilmente ma con fermezza un braccio e la conduco sulla pista da ballo, l'orchestra suona un dolce slow, le mie braccia cingono il suo corpo lievemente, stringendola piano, sento che si abbandona a me, contro il mio corpo, muovendosi con me al lento ritmo della musica. I nostri visi vicini, sento i suoi capezzoli premere sul mio petto attraverso il leggero tessuto dell'abito, tesi, eccitati, i movimenti dei nostri corpi le procurano carezze sfinenti. So che aspetta una mia parola, una parte della sua mente vorrebbe risentire quel tono di voce deciso, sferzante, quello usato rivolgendomi a lei apostrofandola come "stupida idiota", l'altra parte della sua mente, la parte più razionale, rifugge questo pensiero, inorridendo, odiandosi.

Continuo a tacere, muovendomi piano al ritmo della musica.

So che parole come Master, slave a lei sono sconosciute, senza senso. Non sono i nomi che contano, ma le sensazioni.

L'importante non è sentirsi chiamare Padrone o Signore, ma l'atteggiamento della mia compagna quando si rivolge a me, non è importante che io la chiami slave o schiava, ma il mio atteggiamento quando mi rivolgo a lei. Ciò che io provoco e suscito in lei: il dovere ed il piacere dell'obbedienza.

La musica sta per finire, la sento quasi abbarbicarsi a me, quasi implorarmi con il corpo di parlarle, di prestarle attenzione.

Le ultime note, la musica si smorza.

Sento la pelle nuda delle sue spalle rabbrividire sotto un innocente carezza quasi casuale, per un istante il suo corpo aderisce ancor più al mio.

So che sono sensazioni nuove per lei, sensazioni di cui sicuramente si vergogna, ma che non può reprimere, non più ora che qualcosa è scattato in lei, ora che una breve frase le ha aperto la mente ed infiammato i sensi.

La musica tace, restiamo ancora sulla pista, allacciati per un lungo attimo, la mia voce le sussurra "A volte ciò che temiamo o non conosciamo è ciò che ci può dare più gioia, più piacere; è bello abbandonare la propria mente, lasciarla volare là, dove vuole andare anche quando noi la tratteniamo, ascoltare il nostro corpo, lasciarsi guidare, verso i nostri sogni, e oltre, forse a scoprire il dolce profumo……… della sottomissione"

Mi stacco da lei iniziando ad allontanarmi mentre lei resta immobile la testa leggermente chinata, il viso in fiamme.

Ha un sussulto, rialza la testa e le sfugge uno sguardo di sfida, la guardo sorridendo ed allontanandomi mentre lei china di nuovo il capo.



Mi faccio largo tra gli invitati dirigendomi verso il Conte per accomiatarmi, quando lo raggiungo Marisa è già al suo fianco, la vedo ansiosa, tesa.

"Conte la ringrazio dell'invito e della bella serata"

So che Marisa vorrebbe dire qualcosa, i suoi occhi sfuggono i miei, il mio sguardo posandosi su di lei si fa duro "Addio Contessa", questa volta la sua mano ha un tremito e resta nella mia un pò troppo a lungo, un disperato tentativo di trattenermi forse, certo non voluto consciamente, certo detestato dentro di lei, che mostra un aspetto di se che non conosce, che non vuole, che nega a se stessa, ma ormai sa essere parte di lei.

Sorridendo mi allontano, sapendo di lasciarla preda di mille pensieri a mille sensazioni.

Due giorni dopo ricevetti un invito, a firma del Conte, per una cena qualche giorno dopo, il Venerdì. Sorrisi tra me.

Lasciai passare l'intera giornata e solo la mattinata successiva, quando ero certo che solo Marisa fosse in casa, chiamai chiedendo del Conte Mirko; dopo un istante sentii la voce di Marisa, leggermente ansante, un velo d'ansia che cercava di dissimulare.

"Buongiorno Contessa" dissi in tono distaccato "cercavo suo marito, evidentemente è fuori, volevo ringraziarlo per l'invito alla cena di Venerdì sera, purtroppo ho precedenti impegni e non credo di poterci essere"

Un lungo silenzio in risposta alle mie parole, poi la sua voce, lievemente incrinata "Ci tenevamo molto che lei fosse presente, non le è proprio possibile liberarsi?"

Sorrisi tra me "Farò il possibile Contessa, vede ho un precedente invito, rivoltomi da una cara amica, che mi ha PREGATO, IMPLORATO di esserci e lei capirà……" avevo volutamente accentuato il tono di voce su quei due verbi.

Rimasi in silenzio, sentivo la sua mente in subbuglio, i suoi sensi urlare ed il suo orgoglio opporsi, una estenuante lotta interna tra ciò che desiderava e ciò che era abituata ad essere e ad ottenere, tra ciò che sapeva le avrebbe dato emozioni e sensazioni inarrivabili e la rabbia e la vergogna verso se stessa per desiderarle.

Dopo lunghissimi istanti la sua voce, quasi umile ora, leggermente roca:

" io…, ….. la prego"

Era come se potessi vedere, in una sequenza implacabile, la lotta che si combatteva in lei, tra la sua parte razionale, le sue convinzioni, i suoi tabù e….. e l'ignoto, quelle strane sensazioni scaturite da una sciocca frase detta con tono deciso.

Stava perdendo la sua battaglia, o forse vincendola.

Un lungo silenzio, poi due sole parole: "Ci sarò".

Arrivai puntuale alle 21, consegnai le chiavi della mia auto al solito valletto e salii lo scalone entrando nell'atrio della villa.

Il Conte e Marisa attendevano gli ospiti, mi avvicinai ringraziando il Conte per l'invito e rivolgendo solo un rapido saluto a Marisa per poi allontanarmi verso gli altri ospiti.

Dopo pochi minuti avvertii la sua presenza accanto a me, mi voltai fissandola.

"Sono veramente felice che lei sia potuto essere tra noi" mi disse con voce leggermente malferma, le rivolsi un sorriso enigmatico "Non potevo resistere ad una preghiera, ……………… perché la sua ERA una preghiera vero Contessa?" Arrossì violentemente, fissandomi con uno sguardo carico d'odio, ma sapevo che quell'odio era rivolto a se stessa, a ciò che provava, a ciò che era spinta a fare dalle sue emozioni. La vidi rabbrividire mentre il suo respiro si faceva più affannoso ed il rossore rendeva ancora più attraente il suo stupendo viso.

Restai a fissarla lungamente in silenzio, godendo del suo imbarazzo e della sua rabbia, ben sapendo che erano esperienze nuove per lei, ma sapendo altrettanto bene che ormai non poteva più sfuggire i suoi desideri; era come se quella breve frase pronunciata alla festa avesse abbattuto di colpo muri di tabù, di paure, di convenzioni, lasciando fuggire, liberi, desideri troppo a lungo repressi.

Ci avvicinammo alla tavola imbandita, Marisa da perfetta padrona di casa assegnò i posti ed ovviamente il mio fu accanto al suo.

Mentre la cena veniva servita iniziai a fissare sfacciatamente Marisa, i miei occhi accarezzavano il suo corpo, muovendosi sulle sue curve come lievi carezze.

"Quest'abito le sta d'incanto Marisa, disegna meravigliosamente le sue splendide forme esaltando la sua bellezza e la sua sensualità"; trattenne il respiro per un lungo istante, non osando alzare gli occhi dal piatto che aveva di fronte; sapevo che aveva immediatamente notato che, per la prima volta, il suo titolo nobiliare era stato volutamente omesso, e lei sapeva che io non potevo non aver notato, mentre le parlavo, l'improvviso inturgidirsi dei suoi capezzoli sotto la stoffa leggera.

Continuai a fissarla in una muta sfida, quasi spingendola a guardarmi negli occhi. Sentiva il mio sguardo sulla sua pelle, lo sentiva bruciare, audace, violento, deciso.

Con un improvviso sussulto d'orgoglio sollevò il capo con fierezza, il busto eretto, i suoi occhi nei miei, freddi, glaciali. Ma incontrarono solo un innocente sorriso sul mio viso e nei miei occhi. Rimase turbata, confusa; forse allora era solo la sua immaginazione, forse nelle mie parole, nei miei sguardi non c'era nulla d'impudico, di perverso. Distolse gli occhi vergognandosi dei suoi pensieri, ricacciandoli in se, cercando di escluderli, di tornare a ragionare a mente fredda, razionalmente.

Lentamente il rossore abbandonò il suo viso, il respiro tornò a frequenze normali. Si! Stava riprendendo il completo controllo di se stessa, che sciocca era stata ad aver immaginato chissà che, che stupida ad invitarmi a questa cena obbedendo ad un impulso… sconosciuto.

Si disegnò sul viso la sua solita maschera di superiorità e si volse verso me "lei Dottor….."……..le parole le si troncarono in gola incontrando i miei occhi, la mia espressione era ora completamente diversa,  dura, decisa, severa. Le pupille le si dilatarono in un'esplosione di emozioni che le scoppiò nel cervello e nel corpo, quelle che pensava, sperava di aver cancellato.

La mia voce decisa, poco più di un sussurro, ma inconfondibilmente determinata, sicura: "Non puoi negare ciò che è in te Marisa, ciò che stai cercando di reprimere ed esce sempre più prepotentemente" parlando vidi il suo sguardo passare dallo smarrimento all'ira perché mi rivolgevo a lei dandole del tu, alla consapevolezza che ciò che dicevo era ciò che sentiva; non resistette oltre, abbassando i suoi occhi, mordendosi nervosamente le labbra, torcendosi le mani "Ora sono qui, è questo ciò che desideravi?"continuai, arrossì violentemente; avvicinai il viso al suo sussurrandole "NO, lo so bene, non è questo ciò che desideravi, ciò che vuoi è essere guidata, condotta per mano verso i lidi dove solo i tuoi sogni ti hanno fino ad ora portato, quei sogni che negavi anche a te stessa e che ora dominano il tuo corpo e la tua mente, che non PUOI più nascondere, che non VUOI più ignorare".

La mia mano sfiorò lentamente la sua gamba, attraverso la delicata stoffa dell'abito, la sentii contrarre inconsciamente le gambe, irrigidirsi; la mia stretta si fece più decisa e, lentamente, la portai ad aprire un poco le sue gambe, mentre sotto le mie dita scorreva la pelle liscia della sua coscia appena velata dal tessuto. Proseguii nella mia lenta carezza, senza staccare lo sguardo da lei.

Era quasi trasfigurata: il viso paonazzo, un velo sottilissimo di sudore le imperlava la fronte, il respiro a lungo trattenuto si liberava in una serie di rapidi respiri a bocca dischiusa, per poi troncarsi di nuovo, le spalle irrigidite, i capezzoli tesi, quasi volessero forare la stoffa, quasi urlassero la loro necessitò di carezze. Il mondo pareva essersi fermato attorno a lei mentre cercava di celare agli ospiti ciò che sentiva, ciò che provava, ciò che desiderava.

Ancora la mia voce, suadente ma ferma, accompagnava la lenta carezza della mia mano "pensa ai tuoi ospiti Marisa, ti considerano una donna integerrima, una dama di gran classe, pensa Marisa se sapessero ciò che provi ora" la mia mano saliva, lenta, il tessuto scivolava sulla sua pelle "pensa Marisa se vedessero la mia mano, se potessero percepire i tuoi brividi come io li percepisco, se potessero leggere i tuoi pensieri" ancora più su, la mia mano ormai sempre più vicina al suo pube, il suo seno si solleva rapido ora, i muscoli tesi, la bocca dischiusa trattiene a stento un gemito, non le importa del resto del mondo, coglie appieno tutte le emozioni che la travolgono: vergogna, desiderio, umiliazione "pensa Marisa se sapessero quanto desideri la mia mano sul tuo seno, una stretta forte, i tuoi capezzoli tra le mie dita, la mia mano sul tuo corpo, sul tuo ventre… tra le tue gambe, sul tuo sesso umido, la mia mano che si bagna dei tuoi umori".

A queste parole la mia mano sfiorò il suo sesso attraverso l'abito strappandole un gemito soffocato e subito si allontanò da lei.

Mi voltai verso gli altri ospiti, ignorandola ostentatamente, e fingendo di partecipare allo sciocco chiacchiericcio di ogni cena mondana, lasciandola in preda ai suoi tumulti interiori, alle sue vergogne, alle sue voglie.

Dopo un lungo attimo mi volsi di nuovo verso Marisa chiedendole con un tono appena troppo alto, tale da poter essere udito da tutti ed una lieve nota di apprensione nella voce "Contessa non si sente bene?" Questa mia osservazione aveva provocato ciò che sapevo sarebbe successo, un improvviso silenzio tra gli ospiti che si voltarono ansiosi ad osservare Marisa. Le emozioni appena provate non avevano ancora lasciato il suo volto ed il sentirsi improvvisamente al centro dell'attenzione la faceva sentire completamente esposta, senza difese, vulnerabile. Si odiava e mi odiava in quel momento, sapeva di essere stata succube preda di un mio gioco, ma ciò che più la faceva infuriare era il fatto che pur sapendolo dall'inizio non aveva saputo, forse non aveva voluto, resistere; si era abbandonata, aveva perso il suo autocontrollo, ecco questo era ciò che la rendeva furiosa.

La voce preoccupata del Conte la riscosse dai suoi pensieri mentre cercava di riprendere faticosamente il controllo di se "Marisa hai il volto cereo, non ti senti bene?" poi, rivolgendosi a me "Enrico ti prego perché non le dai un occhiata, sai spesso lei si trascura e poi……".

Stavo osservando Marisa e la vidi trasalire a quelle parole, improvviso il desiderio si era riacceso in lei e, contemporaneamente, la sorda rabbia che covava, che stava ribollendo in lei dandole una lucida determinazione: me la avrebbe fatta pagare!

Si costrinse ad assumere un'espressione sofferente e sussurrò "scusatemi, mi sono dedicata a mille iniziative negli ultimi mesi e forse mi sono stancata troppo e mi sono un po’ trascurata" ed osservandomi con uno sguardo glaciale "non so definire con precisione cosa mi sento, un malessere generalizzato, un senso di spossatezza, di ansia che mi prende la gola, quasi una morsa". Ovviamente tutti mi osservavano e mi alzai prontamente dicendo "la prego Contessa lasci che veda se qualcosa non va" chiamai un cameriere chiedendogli di recuperare la mia valigetta che portavo sempre in auto con me, mentre Marisa saliva nella sua camera.

Il Conte mi accompagnò da lei (da tempo ormai avevano camere separate) e poi scusandosi tornò dai suoi ospiti dicendomi: "La lascio nelle tue mani Enrico".

Marisa era seduta su una poltroncina, splendida, il suo fascino accentuato dai lampi di rabbia che scaturivano dai suoi occhi, tutto il suo corpo urlava furore ed indignazione.

Presi con gesti lenti lo sfigmomanometro ed il fonendoscopio dalla mia valigetta e, rivolgendole il più innocente dei sorrisi, le dissi "vediamo la pressione per iniziare Contessa".

Si alzò in piedi come una furia, gli occhi fiammeggianti, il viso rosso di rabbia, fronteggiandomi decisa e sibilando con tono tagliente: "Come si è permesso, come ha osato?"

La guardai con sguardo stupito "Contessa non capisco, credevo volesse che la visitassi; effettivamente il suo aspetto desta qualche preoccupazione ed anche il Conte non é tranquillo".

"Sa benissimo a cosa mi riferisco" continuò "Lei mi ha mancato di rispetto, ha infangato la mia onorabilità con gesti e parole volgari, esca da casa mia e non si ripresenti mai più! E' solo uno squallido pervertito" era tornata la Contessa Marisa che avevo conosciuto al party quella prima sera, fredda e glaciale, distaccata ed altezzosa, ma mentiva a se stessa, non sarebbe mai più stata quella donna, un'altra donna era rinata in lei e non sarebbe più tornata nell'ombra.

Posai lentamente i miei strumenti, fissandola, mentre il mio sguardo si induriva sempre più, mentre i miei occhi fissavano i suoi, una estenuante lotta silenziosa tra la mia volontà e la sua, o meglio una lotta in lei, tra la sua rabbia e la sua vergogna ed i suoi desideri.

Lentamente mi avvicinai a lei, il suo bel viso mi fissava sprezzante, ma, inequivocabilmente, il suo corpo reagiva, seguì il mio sguardo, lo vide posarsi sfacciato sul suo seno, vedevo chiaramente i suoi capezzoli tendersi, premere l'abito leggero. Sapeva che coglievo questo mutamento in lei, sapeva che il gioco era nuovamente iniziato.

Non avrebbe ceduto, non questa volta.

Continuai ad avanzare, lentamente, in silenzio; il suo sguardo era sempre deciso, ma il suo respiro aumentava di frequenza, il seno si sollevava, quasi volesse offrirsi a me, come dotato di vita propria.

Ancora più vicino

"Marisa" la mia voce determinata la colpì come uno schiaffo mentre i miei occhi tornavano nei suoi.

Mille sensazioni diverse passavano rapidamente nella sua mente riflettendosi nei suoi occhi: determinazione a non cedere nuovamente ai miei giochi, alla mia mente, desiderio di abbandonarsi, completamente, odio e vergogna per ciò che provava, la folle urgenza di desiderarlo ancor più violentemente, di viverlo.

La mia mano si solleva, si avvicina lentamente a lei, si posa sul suo seno, sfiorandolo e strappandole un gemito, la carezza si fa più decisa, più ferma, sento il suo capezzolo, lo stringo piano tra le dita, "So cosa provi Marisa, so cosa vuoi, come lo sai tu, come sai di non poter più tornare indietro, vuoi sentirti femmina per la prima volta nella tua vita, usata, sottomessa, provare gioia e piacere nell'obbedirmi"

Il suo viso è una maschera di emozioni, ormai la sua mente sta volando lontano mentre la carezza insistente della mia mano le procura brividi di piacere, sente, vergognandosene, i suoi umori bagnarle il minuscolo perizoma. Il suo corpo è teso, ogni fibra pronta a trarre il massimo piacere, le braccia abbandonate lungo il corpo, il busto eretto spingendo in avanti il seno quasi a cercare una carezza ancora più decisa, la bocca dischiusa da cui esce un silenzioso gemito, il viso contratto, gli occhi spalancati su ciò che sente, sulla sua anima. Ma la sua mente non è ancora mia, non ancora come vorrei, come voglio.

Scosto la mano, rimango immobile davanti a lei "rispondimi Marisa, leggi in te, E' QUESTO CHE VUOI VERO? E' QUESTO CHE MI CHIEDI? DI ANNULLARTI IN ME PER RINASCERE COME TU SEI, LIBERARE I TUOI SOGNI, SEGUIRE LA TUA MENTE, APPAGARE LE TUE PERVERSIONI ED ESSERE……MIA! CRETA TRA LE MIE MANI, CERA TRA LE MIE DITA"

Ha un sussulto di orgoglio, un lampo negli occhi "NO" solleva il braccio con forza verso il mio viso, per schiaffeggiarmi, ma la mia mano lo afferra, con decisone ma senza durezza, la osservo in silenzio e…… lasciandole il braccio le volto la schiena dirigendomi verso la porta, in silenzio. La sento ansante, dietro di me, vorrebbe parlare, fermarmi, tutte le sue determinazioni elaborate con razionalità sono di colpo scomparse, non sa cosa dire, come fare, teme di peggiorare le cose, eppure non può permettere che io esca, che la lasci, non può permettersi di perdermi ora che mi ha trovato.

Un colpo lieve alla porta, si schiude piano ed il Conte entra "scusatemi, volevo vedere come sta Marisa, tutto bene?"

Mi affretto a rispondergli con un sorriso "Si, non si preoccupi, si è solo stancata un po’ troppo, ma nulla di grave, stavo scendendo, credo sia meglio che usciamo entrambi e la lasciamo SOLA, penso che sia ciò che vuole ora, RESTARE SOLA!".

Mi avvicino alla porta continuando ad ignorare Marisa, ancora immobile al centro della stanza, il Conte mi rivolge un sorriso di gratitudine "Enrico non so come ringraziarla, si, se Marisa vuole restare sola usciamo" apre la porta facendomi cenno di precederlo. Solo il respiro affannoso di Marisa rompe il silenzio della stanza, sono alla porta, oltrepasso lo stipite con decisione, il lungo corridoio davanti a me e……

"…no" la voce rotta dall'emozione di Marisa "per favore … no" vorrei che il Dottore restasse ancora un po’, scusatemi, sono sciocca lo so, ma la sua presenza cheta la mia agitazione, non riuscirei a restare sola ora …… per favore"

Mi volto verso lei con un sorriso, quel sorriso "Ma Contessa è sicura? Mi sembrava di aver capito che…." Anche il Conte interviene quasi in tono di rimprovero "Marisa non essere sciocca, non puoi pretendere che Enrico passi la serata qui perché tu ti lasci cogliere da crisi nervose e stupide ansie".

Il viso di Marisa è supplicante, minuscole lacrime spuntano agli angoli dei suoi occhi, velandoli "…per favore .. non riuscirei a restare sola ora, ….. per favore Enrico, io…. io …. la prego, non mi lasci sola, non credo di farcela ora". Si torce nervosamente le mani, il corpo scosso da singhiozzi trattenuti, senza lasciare neppure per un secondo il mio volto "Ma Marisa insomma" interviene di nuovo il Conte quasi seccato "non puoi chiedere ad un ospite di…, dové è finito il tuo controllo, la tua educazione"

Mi volto verso di lui "Non si preoccupi, capisco bene la Contessa, capita spesso che, in momenti di affaticamento e di stress psicologico si senta il bisogno di una persona di riferimento, e non è infrequente identificare il Medico come persona di riferimento, le assicuro, non è un problema per me, anzi sono lieto di poter essere utile alla Contessa". Lo sguardo di riconoscenza negli occhi del Conte fa nascere in me per un istante, per un brevissimo istante, un piccolo senso di colpa, poi lui, avvicinandosi a Marisa le sussurra, "credo dovresti essere molto grata ad Enrico, è raro trovare persone come lui" Il volto di Marisa avvampa di vergogna, so che anche lei prova sensi di colpa, ma so che anche lei non cederà a quelli, ormai non può più, non vuole più tornare indietro.

Il Conte ci lascia, resto immobile, davanti a Marisa, ha gli occhi bassi, il corpo scosso da un tremito irrefrenabile, sorrido "dunque avevo ragione Marisa? Dunque ora sai ciò che vuoi?" non ha esitazioni questa volta "si".

La mia mano accarezza lentamente i suoi capelli, socchiude gli occhi piegando il capo all'indietro, godendo quel tocco che lentamente scende sul suo collo, sulla sua gola, il mio viso si avvicina al suo, lentamente, vedo le sue labbra fremere, aprirsi, in attesa di sentire le mie, il mio sapore, si sta offrendo a me, per la prima volta in vita sua mostra ad un uomo, con tutto il suo corpo, di desiderarlo, senza pudori.

Mi allontano da lei, sedendomi su una poltroncina, continuando a fissarla, "spogliati Marisa", anche questa volta non ha alcuna esitazione, la donna decisa che è in lei ha preso il sopravvento, ma, ora, la sua decisione è totalmente indirizzata verso il donarsi a me, l'essere mia, COMPLETAMENTE.

La sua mano accarezza la spalla, facendo scendere lentamente la spallina, abbassandola, senza civetteria, ma con il piacere di mostrarsi a me, il tessuto morbido scivola sulla rotondità del seno, inciampando quasi nei capezzoli che spuntano, eretti, pronti al piacere, l'abito scende, mostra il ventre piatto, indugia appena sulla stupenda rotondità dei fianchi e delle natiche per poi avvoltolarsi su se stesso scivolando ai piedi di Marisa che resta magnificamente immobile, solo un piccolo perizoma a velare, esaltare forse, la protuberanza del monte di venere, un piccolo ciuffo di peli neri disegna la trasparenza del tessuto, una piccola macchia umida testimonia i suoi desideri.

Lascio che i miei occhi la accarezzino a lungo, posandosi su ogni centimetro della sua pelle; sente il mio sguardo, quasi avesse una consistenza fisica, lo sente sul suo collo, tra i seni, accarezzare lungamente i capezzoli, un gemito le sfugge.

Mi alzo avvicinandomi a lei, la guido verso il letto facendola stendere; prendo le sue mani e dolcemente le guido sul suo corpo, le sue dita sentono la sua pelle bruciante di desiderio, le mie mani sulle sue, lentamente le spingono giù, a sfiorare il minuscolo perizoma umido, la pressione delle mie dita si trasmette alle sue, sente il delicato bottoncino del clitoride, premo, preme, gemendo lungamente, movimenti rapidi, circolari, poi lenti e di nuovo rapidi, desiderati a lungo e sempre negati perché la masturbazione non si addiceva a lei, perché si era sempre imposta di negare, ignorare i desideri del suo corpo, il sesso come un dovere verso il marito e nulla più, sorda ad ogni richiamo, decisa a non perdere mai il proprio autocontrollo per stupide sensazioni fisiche. Ed ora eccola, impudicamente pronta a masturbarsi davanti a me, celando la sua vergogna, gioendone, eccitandosi per questo.

Lentamente la mia mano lascia la sua mentre la mia voce sussurra "continua Marisa, ascolta il tuo corpo, appagalo". Le sue dita, sole ora, si muovono sul suo sesso, il perizoma intriso di umori e piacere scorre sotto le dita, il corpo si inarca, si tende mentre sul suo volto si disegnano emozioni e sensazioni nuove, "Continua Marisa, accarezzati, MASTURBATI per me, per te, DAVANTI A ME". Un lungo gemito accompagna le mie parole fugando ormai anche l'ultimo alibi che le dava l'illusione di non essere lei a fare ciò che stava facendo, a pensare che fossero le mie mani ad accarezzarla, la realtà urlatale in faccia, il farla sentire dolcemente perversa, provare piacere nel masturbarsi e nel farlo davanti ad un uomo, per ordine di un uomo. Questi pensieri aumentano la sua eccitazione, stringe con forza le gambe, imprigionando la sua mano tra le cosce continuando a muoverla, scoprendo il piacere di darsi piacere, conoscendosi. La testa rovesciata sul cuscino, gli occhi spalancati sul vuoto, su un mondo immaginario, la schiena arcuata spingendo in alto il bacino che si muove in una danza oscena cercando le sue mani, un gemito infinito che sfugge dalle sue labbra dischiuse. "GUARDAMI MARISA, DAMMI I TUOI OCCHI? I TUOI PENSIERI" volge i capo verso me, i suoi occhi nei miei, non nascondendo nulla di ciò che sente, di ciò che desidera, umiliata e felice di mostrarsi per ciò che ora è, ciò che vuole essere. La sua mano scosta il minuscolo perizoma, sente le gonfie labbra viscide di piacere, i polpastrelli si posano sul clitoride eccitato, senza più nulla a dividere pelle da pelle, si muovono rapide, facendo scorrere quel piccolo bottone di piacere, premendolo e rilasciandolo a seconda di ciò che il suo corpo le chiede, e nel contempo fissandomi per vedere se……. Sono contento di lei ……., questa ammissione a se stessa le si spalanca nella mente, si, vuole che io sia contento di lei, questo è ciò che più desidera e che più la eccita. Le dita ora sentono il piacere scorrere, si bagnano di lei, gusta quel doppio contatto, i polpastrelli sul suo sesso ed il suo piacere sui polpastrelli. Il respiro sempre più rapido, gli occhi fissi nei miei, vacui, persi, il corpo velato di sudore che sempre più si tende, i muscoli in spasmodica attesa, il piacere che cresce, si diffonde nel corpo, lo sente entrare nella mente, sta per esplodere……..

"FERMATI, ALLONTANA LA MANO" uno sguardo sconcertato, senza smettere di accarezzarsi, non può, non ora che ha scoperto il piacere di darsi piacere, non ora che l'orgasmo sta per arrivare, violento, liberatorio, scaricando tensioni a lungo accumulate, non ora, non può fermarsi……. Ma i miei occhi duri non abbandonano i suoi e, con un lungo gemito, la sua mano si allontana, pur continuando a stringere le gambe, a cercare in altro modo contatto, piacere. I gomiti appoggiati sul letto ora, le mani che stringono le lenzuola, il corpo scosso da spasimi per il piacere negato, l'attesa di una mia parola che le permetta di ricominciare ad accarezzarsi, a masturbasi, strano come la ecciti ora questa parola sempre negata. Il desiderio delle mie mani, del mio corpo, sul suo, pronto a prenderla come io vorrò, sapendo che nulla mi negherà, e sapendo che io lo so. La mia mano si avvicina lenta a lei, sfiora il suo corpo senza toccarlo, muovendosi a pochi millimetri dalla sua pelle, eppure dandole sensazioni indicibili, la mia mano sulla sua mano, ancora, la afferro, delicato e deciso, ecco, ora la riporterò sul suo sesso pensa, o forse sul mio, la guiderò a scoprire altri piaceri. Ma …… la mia mano guida la sua verso il suo volto, le sue dita sulle sue labbra, una breve esitazione, poi….. il suo odore le esplode nel cervello, violento come una scarica, si annusa a fondo, il profumo del sesso unito a quello della sottomissione e dell'umiliazione. Il piacere di mostrarsi succube e pronta a tutto. Il suo cervello reagisce, il suo corpo reagisce, procurandole un orgasmo esplosivo, il corpo sussulta incontrollato, la bocca emette gemiti rotti da lunghe apnee, gli occhi spalancati su un mondo tutto suo, il bacino proteso in alto, le gambe oscenamente aperte sul suo sesso che cola piacere, un piacere infinito. Mai avrebbe pensato di raggiungere un orgasmo senza essere sfiorata, solo per la percezione di un odore, del suo odore, solo per stimoli cerebrali. Ma sa bene che ciò è frutto di una lunga preparazione, di un accumulo di sensazioni, sconosciute ed immensamente piacevoli, che erano pronte ad esplodere, che io ho fatto esplodere quando ritenevo che lei potesse, ne fosse degna forse.

Lentamente il suo corpo si rilassa, si abbandona nudo sul letto, ancora scosso, ogni tanto, da spasimi, residui di piacere. Mi guarda, con adorazione quasi, con devozione. SI, ha perso la sua battaglia, ha vinto la sua battaglia. Parole determinate le escono dalle labbra. "Grazie, mi ha fatto capire ciò che sono, ciò che voglio, essere SUA, come lei vorrà, senza alcun limite né tabù"

Sorrido enigmatico, fissandola negli occhi "Sarà un percorso lungo Marisa, ma sono certo che alla fine sarai la mia stupenda schiava". A quella parola prova una violenta contrazione al ventre, piacere e perversione liberi in lei.

Scrivo rapido poche righe su un foglietto e glielo porgo dicendo "domani, alle 15, indossando una gonna ed una camicetta, niente slip, solo collant indossati a pelle, pronta per me. CI SARAI?" ha un attimo si smarrimento, come? me ne vado? La lascio così? Non mi occupo di lei? Non la faccio mia? Perché? Ogni uomo sarebbe felice di avere una donna come lei, pronta ai suoi desideri, ed io? Me ne vado? Ma subito la sua mente inizia a fantasticare su … domani, su come si vestirà per me, sul piacere che proverà indossando quegli abiti pensando che io li sfilerò o le farò sfilare. Si, sa che è giusto così, sa che il fatto che lei mi voglia ora non è importante, l'importante è ciò che io voglio, anzi proprio il fatto che lei mi vuole probabilmente mi spinge a non accontentarla, piccolo supplizio che lei accetta volentieri, perché domani… risponde senza esitazione leggendo con bramosia quell'indirizzo vergato in fretta "si signore" ecco l'ha detto, lei che mai avrebbe pensato di potersi rivolgersi così ad un uomo, eppure quella parola le girava nel cervello da alcuni minuti ed ora l'ha detta, con gioia, sentendosi felice nel dimostrare, apertamente, ciò che vuole: essere mia.

Le volto le spalle uscendo lentamente, lasciandola preda di pensieri, di sogni, di fantasie e sensazioni.

Domani ….domani…. domani ……..


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