lunedì 17 settembre 2012

Micro Racconti 3







Tranches de Vie

Passi cadenzati lungo la navata sulle note di Mendelssohn, splendida in quell’abito candido di cui qualcuno, se avesse saputo, l’avrebbe giudicata indegna. Un passo dopo l’altro, sentendo, dai banchi degli invitati, il Suo sguardo sulla pelle. Bruciavano quei segni sulla schiena … sotto quell’abito candido. L’ultima sera, qualcuno l’avrebbe definito “addio al nubilato”, sciocchi, era ben altro, era il suo donarsi ancora una volta a colui che le era Padrone, a colui al quale rinunciava. Facile per molti giudicarla, per alcuni fedifraga, per altri vigliacca, per altri ancora banalmente puttana. Gli aveva chiesto di sciogliere quel collare, l’aveva guardato a lungo posato sul letto sfatto, piangendo. Ma il vero collare, quello che per sempre l’avrebbe legata a Lui, era nella sua anima, per sempre Sua.



9-11 ancora una volta…

Dov’era cemento e acciaio che sfidava il cielo oggi due buche enormi, acqua che scivola lungo le pareti di quelle buche e pare esser inghiottita dalla terra.
Marmo ai bordi di quelle buche, marmo e sequele di nomi di ignoti sconosciuti, qualcuno posa una rosa, non importa a chi, un segno, nulla più.
Tra turisti e curiosi per un attimo lascio che la mente si astragga dalla curiosità morbosa della tragedia. Leggo un nome su quel marmo, uno a caso, non importa chi, e dedico una preghiera, non da cristiano ne da ortodosso, metodista, ebreo o buddista, una preghiera da Uomo all’Uomo, vittima innocente. Non mi importa ora se di terroristi o servizi segreti, se attacco o complotto. 9-11 Vittima innocente … ancora una volta



La risposta di Tony

Tony non doveva chiedere, era fortunato e si godeva la vita, le cose belle gli cadevano addosso, come pioggia a bagnargli gli abiti, inzuppandolo di fortuna.
Era invidiato Tony e quell’invidia a volte gli portava schiaffi e letame, ma non importava, lui si confrontava con la sua coscienza e a quella rispondeva.
Ma a volte quel letame colpiva Tony di riflesso e non era su Tony che cadeva ma su persone a cui Tony teneva e forse lui non sapeva dir loro che era letame d’invidia o forse era più facile non credergli, complice vecchie colpe che lasciavan più o meno volontariamente ombre. E, a volte, anche quel cottage solitario e quella stanza che sapeva di antico, con massicce porte fatte d’amore, non bastavano a tener fuori “venticelli” maligni.



50 sfumature di … Bigio

Secco il primo colpo, e subito altri, il secondo, il terzo in un crescendo musicale, rumore d’aria e metallo, la pelle appena sfiorata ed ogni volta un brivido, la tensione, il timore; bastava poco, così poco a lacerar pelle, a macchiar di sangue rosso quella lama, ma quella era l’arte, la bravura, l’abilità, solo sfiorar la pelle, vicino, sempre più vicino e piano allontanarsi appena.
Cresce il ritmo, più serrati quegli scatti metallici ora, ancora, ancora, ancora quasi rubando aria e togliendo respiro e finalmente, improvvisa, la calma, uno sguardo si solleva al muro, osserva quelle lancette ora immobili, un sorriso illumina il volto … 50 sfumature in 20 minuti, nuovo record, Bigio il re dei parrucchieri.



Mille e mille volte

Ho mille volte perso e mille vinto. Ho navigato nei mari dell’incoscienza come Achab, inseguendo una Moby Dick che altro non era che miei fantasmi che non sapevo arpionare. Ho finto mille volte e altrettante ho creduto a chi fingeva. Ho lasciando che polvere bianca svuotasse il mio cervello per poi ritrovarmi e buttarla. Ho giocato con le parole e i sentimenti, e di sentimenti son stato vittima e preda. Ho mentito con la consapevolezza di mentire ed ho detto il vero senza esser creduto. Mi son spogliato davanti a te, ho strappato tutte le mie maschere, e sotto ogni maschera c’ero sempre io, che maschera non sono … perché tu mi veda.

sabato 8 settembre 2012

Micro Racconti 2







Femmina algida, puttana sfrontata

Bella e altezzosa, quasi fuori posto in quel Mc D.
con malcelata impazienza ti rivolgi con fare irriverente alla ragazza alla cassa.
Siedi ignorando il tuo hamburger, lo sguardo oltre la vetrata, con finto disinteresse.
Senti, il Suo sguardo su te, quello sguardo che spoglia, accarezza, brucia.
Il respiro accelera, il seno si solleva rapido, il cuore pulsa in gola, fissandolo. Un breve cenno mentre lo vedi dirigersi verso i bagni, elegante, sicuro di se.
Solo un attimo d’esitazione, “stronzo”, lo sai vuole umiliarti, eppure…è ciò che vuoi, che sei.
Lo segui con passi lenti, la Sua mano improvvisa sul braccio chiudendoti dentro il minuscolo bagno che puzza d’umanità.
Senza parlare.
Mani ora, sul tuo corpo, sulla gola, sui polsi, mani decise che ti fanno voltare contro la parete, le braccia alte appoggiate a quelle piastrelle fredde, mani che decise abbassano i legging, frugano tra le cosce su quell’intimo già fradicio, strappano gemiti soffocati.
Non importa ora dove sei, non importa nulla, solo il tuo desiderio, il bisogno;
il Suo sesso Padrone deciso ti prende, scostando appena lo slip, in piedi, come l’ultima delle puttane, in un cesso pubblico.
Sussulti sotto i Suoi colpi, sussurri parole sconnesse, implori piacere, esplodi nell’orgasmo appagante che ti infradicia le cosce, e la Sua mano ti spinge in ginocchio, pretende la tua bocca, la gola, fottendola fino in fondo, dissetandoti con il Suo piacere.
Per poi uscire, in silenzio, lasciandoti li, femmina algida, puttana sfrontata. Tu!






Insaziabile fame di…

Davanti a lui, il suo odore d’Uomo, la sua pelle che esplori, lasciando scivolare la lingua senza pudore, le sue mani a frugarti accendendo mente e sensi, voglia indecente ad infradiciarti le cosce. Ansimi di desiderio e piacere, occhi vacui che si fanno legger dentro mostrandoti per ciò che sei. Corpi che si uniscono nel piacere, che si conoscono e si ritrovano ogni volta ed ogni volta è diverso ed uguale. Il ritmo del suo sesso in te, mani decise a stringerti i polsi, lenzuola da mordere e saliva ad inzaccherarti il viso. Sudore umori e piacere che si sommano, si mescolano, esplodono nell’orgasmo. Scivoli sul suo corpo, golosa del suo sesso, in fondo alla gola fino a berlo golosa.
Un sorriso ironico quando, a sera, l’amica ti invita a cena e non sai trattenerti dal rispondere “si…non metto in bocca nulla da stamane”





Come foglie morte

Il vecchio sedeva sulla panchina del parco, il mento appoggiato al bastone. Raccontava storie antiche che nessuno aveva tempo e voglia d’ascoltare. Ridevano i ragazzini, chiamandolo scherzosamente “il matto” perché quelle storie di guerra, di partigiani, di fame e miseria, quel mondo dove non esisteva la Tv ne la Wii sembrava un mondo frutto della mente di un folle. Parlava a bassa voce il vecchio sulla panchina, il mento appoggiato al bastone, ogni tanto qualcuno si sedeva accanto a lui a riposare ma sentiva senza ascoltare. Ma non importava a quel novello Forrest Gump, forse prima o poi, qualcuno avrebbe ascoltato, accorgendosi che quelle vecchie storie, quel mondo così strano da sembrare impossibile, altro non era che un aspetto diverso del nostro mondo e da quello avremmo dovuto imparare; non le parole di un folle, ma piccole perle di saggezza gettate al vento come foglie morte





Passeggiata autunnale

Una splendida giornata autunnale, sole e brezza leggera; con cura indossa i leggeri pantacollant, una canotta aderente, occhiali da sole e inforca decisa la sua bicicletta. Il verde del parco, i prati, i viali ombreggiati, la mente che si vuota, leggera, vola, lontano. Improvvisa si colma di immagini, di mani che sanno sfiorare e stringere, di occhi che fissano duri, di parole sferzanti, e cambia il ritmo della pedalata, più cadenzato ora, ondeggiando piano sul sellino, lasciando che ad ogni colpo di pedale il pube prema un poco più a lungo e con forza sulla pelle lucida del sellino, per poi risalire e premere di nuovo.
Affollano la mente quelle immagini, più a fondo ogni colpo di pedale, non importa se il respiro si fa affannoso, non importa se il viso si arrossa, chi la guarda potrà pensare che è lo sforzo fisico della pedalata.
Sorride tra se mentre varia il ritmo dei colpi di pedale, più profondi e nel contempo rapidi; si incunea il sellino tra le cosce, quasi una sfida e in un tratto di discesa lascia che i muscoli lo stringano con forza, chinandosi un poco in avanti perché possa premere sul clitoride già eccitato.
Poi riprende quella pedalata ormai sfrontatamente oscena, non importa più ciò che possa pensare chi la vede, non importa se la bocca si schiude in un gemito trattenuto, non importa se gli occhi si fanno vacui dal desiderio, non importa se il pantacollant mostra ormai impudicamente un’umida macchia rivelatrice … non importa perché ora il piacere è li.. lo sente, la scuote dal ventre al cervello, stringe con forza il manubrio, preme sul sellino mentre non sa fermare un tremito prolungato, esplode nel piacere lasciandosi trasportare … e … urtando il ragazzo seduto a studiare sul prato del parco, rovinandogli addosso, guardandolo per un lungo istante con gli occhi persi e, quasi senza riconoscere la propria voce, sussurrandogli …  scopami per favore …

giovedì 6 settembre 2012

Micro racconti







Un gioco, un passatempo, un banale divertissement usando le parole. Una sfida a scriver micro racconti con un limitato numero di righe a disposizione.


Bimba e Donna!
La sua pelle era seta, imperlata di rugiada di desiderio. I suoi occhi eran pozze profonde dentro cui leggere e perdersi; la sua bocca sapeva esser quella di bimba imbronciata e quella di puttana sfrontata. Sapeva offrirsi con il pudore d’adolescente e la sfrontatezza di Donna vissuta, senza pensieri, solo istinto, desiderio ed appartenenza. Se chinava il capo non era mai perché si sentisse inferiore ma solo per ciò che sapeva d’essere e voleva essere. Al collo non aveva collare di cuoio perché il suo collare era dentro di lei e io lo avevo stretto sulla sua mente e nell’anima. Il suo guinzaglio era lasco perché solo i cani rabbiosi si tengon a guinzaglio stretto, non una slave che per scelta riconosce il suo Padrone.
Scrivo al passato ma … è il mio presente



Per un vecchio bambino
(involontaria citazione di Vecchioni quando ancora sapeva far sognare e gli si poteva credere)
Il Bambino guardava dalla finestra, vedeva prati verdi, acqua azzurra, cielo terso, e sognava. Il Ragazzo si affacciava al Mondo, ritmava nella mente le parole dei cantautori più amati, a volte dure, a volte sognanti, credendoci, leggendo avido le parole di poeti maledetti e trasgressivi, riconoscendosi. L’Uomo si scontrava con la realtà, che bruciava i sogni del Bimbo, le certezze del Ragazzo, quando quei cantautori smentivano con gli atti le parole che gli eran entrate nel cuore e i poeti trasgressivi eran ormai larve con il cervello bruciato da chimica impietosa.
Il Vecchio guardava dalla finestra, nel palazzo di fronte un Bimbo vedeva prati verdi, acqua azzurra e dai suoi occhi si capiva che sognava, e un sorriso di speranza gli illuminò quel volto rugoso.



Appartenenza
Il buio della benda che ruba la vista, esalta le sensazioni, da sicurezza e timore assieme. Odore di cuoio che fa volar la mente; un sibilo, e il bruciante bacio della cinghia, un secondo, e sai che la tua pelle mostra fiera i segni dell’appartenenza, un terzo, un quarto e ancora. Ed ogni volta razionalmente pensare che più di così non puoi resistere, e subito desiderarne ancora, ancora, mescolando piacere e dolore. La schiena che si inarca, i muscoli che si contraggono, il respiro che si mozza improvviso per poi cercar aria e piacere. E le tue natiche che mostrano fiere 50 sfumature di rosso che diverranno sfumature di nero e di blu. Di …appartenenza.



Rimpianti

Era l’anno 3058!
L’Uomo aprì gli occhi lentamente, li richiuse lasciando andare la mente indietro nel tempo,come ogni mattina; tornando a più di mille anni prima, quando prese la decisione di farsi ibernare e risvegliarsi solo dopo che l’immortalità fosse stata scoperta. Nella mente mille immagini del passato e un nodo alla gola, come sempre stringeva il respiro.Lentamente lasciò scivolare la mano sotto il cuscino,strinse quel pezzetto di carta ormai consunto,con uno sforzo aprì gli occhi guardando quell’immagine ormai sbiadita, le curve di quel busto di Donna su uno sfondo nero e maledisse quel chip che donando l’immortalità gli impediva di provar dolore e assaggiare di nuovo il salato di lacrime per ciò a cui aveva rinunciato e che  valeva più dell’immortalità

 

 

180 e poi ….!

Le gambe strette attorno al serbatoio della potente moto, lei stretta a me, i corpi che aderiscono; il suo seno contro la schiena…90…100…, la sua mano che scivola sul mio petto, mi accarezza lasciva, stringendosi più forte a me…110…120…, cresce il mio respiro, maliziosa ed impudica la sua mano scivola tra le mie gambe, incuneandosi tra me e il serbatoio, si muove, magnifica puttana sfacciata…130..140…, sento i suoi capezzoli turgidi premermi contro la schiena, la sento muoversi sulla sella, so cosa sta facendo, struscia il suo ventre sulla sella, masturbandosi sfacciatamente … 150 … 160 … la sua mano non si ferma, sa come fare, sa dove portarmi, il respiro si fa denso, sudore gelido e brividi…170…180…, “FERMA! Oltre i 180 battiti al minuto rischio l’infarto. Ora accendiamo la moto, usciamo dal garage e andiamo a far due curve”.



Lei

Non riuscivamo a smettere di ridere leggendo assieme i goffi tentativi di Master e masteroni che su facebook tentavano in modo più o meno subdolo di accalappiarla. Ridevamo delle mezze frasi lasciate in sospeso, delle battute ammiccanti o delle frasi spudoratamente allusive. Ridevamo felici, fieri di ciò che eravamo. Lei che aveva vinto con il mio aiuto le sue insicurezza, lei che ora si riconosceva per la Donna forte che era; lei che finalmente aveva preso atto del suo valore, lei che sorrideva ai complimenti ricevuti, e giorno dopo giorno cresceva giustamente nella sua autostima. Lei che, ridendo, diceva “quanto son sciocchi, non capiscono che sono tua e solo tua”.
Lei che ora non riesce a smettere di ridere … con qualcun altro.



V. e P.

Attimi , che sian minuti, ore o giorni, ma attimi, rubati al quotidiano
Attimi intensi in cui son io, me stesso, in cui ritrovo ogni parte di me
Attimi tra quattro mura chiudendo il mondo fuori, noi nel nostro mondo, felici
E tra quegli attimi lunghi momenti dove tutto pare sospendersi
Quasi avvolto da una nebbia
In attesa di altri attimi
Poi vedo voi amici miei, vedo i vostri volti felici, i vostri sorrisi, la vostra complicità.
Penso alle vostre scelte che vi hanno portato a trasformare quegli attimi in una vita
E con un sorriso amaro … vi invidio, felice per voi



Il suo lago
Amava quel lago, il suo lago. Lo amava quando era calmo e dolce e invitava a lasciarsi abbracciare da acque tiepide; lo amava quando era arrabbiato e sputava onde schiumose quasi a sfidare chi osasse, ma in quelle onde mostrava sempre un sorriso ammiccante per chi lo rispettava, conoscendolo.
Restò stupito il suo lago quel giorno in cui, nonostante mostrasse con forza la sua rabbia ammonendo a restargli lontano, lo vide avvicinarsi a passi lenti, con cura ripiegare gli abiti, e camminare verso le onde. Per un attimo il lago rallentò la sua furia riconoscendo quell’amico rispettoso che ora lo sfidava apertamente, poi con un ruggito un onda possente avvolse l’uomo, rubandolo alla vita. Ma sorrideva l’uomo, ora avrebbe rivisto quel Padre a cui troppo poco disse “ti voglio bene”, l’amica cui non potè dire addio e, barando, sconfitto la malattia